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Parla la psicologa degli anziani: “Più si allunga la vita, più aumentano le demenze”

Intervista a Stefania Scotti, laureata all’Università di Pavia con dottorato di ricerca in Neuropsicologia delle demenze e delle malattie neurodegenerative, responsabile della sezione psicologia della Rsa Visconti di Cusago

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Nella foto, Stefania Scotti, laureata all’Università di Pavia con dottorato di ricerca in Neuropsicologia delle demenze e delle malattie neurodegenerative, responsabile della sezione psicologia della Rsa Visconti di Cusago

Ha lo sguardo dolce di tutte le donne che aspettano un bambino. Una bambina nel suo caso, la terza. Stefania Scotti, psicologa 45enne, laureata all’Università di Pavia con dottorato di ricerca in Neuropsicologia delle demenze e delle malattie neurodegenerative, per anni ha lavorato nel reparto di neurologia dell’ospedale San Paolo di Milano, nell’unità valutativa dell’Alzheimer. Oggi è la responsabile della sezione psicologia della Residenza sanitaria per anziani Visconti che sorge in Corso Europa a Cusago.

L’inchiesta

Ha risposto ad alcune domande poste da pocketnews.it nell’ambito dell’inchiesta sui servizi assistenziali che il territorio offre ai propri anziani. E quel che ha sottolineato è una specie di linea guida per parenti e amici di persone che superata una certa età, affette da patologie neurodegenerative, dovrebbero seguire per garantire ai propri cari una qualità della vita degna di essere vissuta.

Perché una psicologa in una Rsa?
“Perché è fortemente necessaria. Deve però avere competenze psicologiche riferite ad anziani con patologie di decadimento cognitivo e della sfera psichiatrica. Molto spesso, nella valutazione dello stato di salute dei propri anziani, si crea una grande confusione tra depressione e demenza. Ci vuole un approccio specialistico per inquadrare questa differenza. I familiari, in molti casi, si ritrovano da soli, fanno fatica a comprendere: pensano dipenda tutto dall’età e invece si trovano di fronte a patologie degenerative che vanno affrontate con molta attenzione. Se i parenti di un anziano sono informati, ci permette di affrontare meglio i sintomi”.

Che cosa è, in parole semplici, la demenza?
“È una sindrome caratterizzata da una compromissione permanente di alcune funzioni cerebrali, che implica un’incapacità dell’anziano a rispondere alle proprie esigenze quotidiane, e si presenta clinicamente con deficit cognitivi, alterazioni dello stato emozionale e disturbi comportamentali”.

Qual è il percorso di assistenza di un anziano afflitto da demenza, visto che non c’è cura?
“Ci sono tantissimi tipi di demenze e altrettanti livelli di demenza. Il nome completo è: decadimento cognitivo cronico progressivo. È un nome che sottende un percorso peggiorativo. Certo, non possiamo fermare la malattia ma possiamo migliorare la qualità della vita di un nostro ospite”.

In che modo?
“Con un approccio multi disciplinare. Tutti i membri dell’equipe presenti all’interno della Visconti, medici, infermieri, fisioterapisti, logopedisti, sono necessari per trovare il giusto equilibrio per migliorare la gestione di un anziano con questo tipo di patologie. Certo, le soluzioni non sono immediate, la gestione è complessa, ma con il lavoro si possono ottenere risultati insperati”.

Quali sono le cause principali dell’insorgere della demenza?
“Alzheimer, demenza vascolare, malattia di Pick, malattia di Creutzfeldt, malattia di Huntington, Parkinson, e demenza correlata a infezione da Hiv”.

Qual è la percentuale degli ospiti afflitti da demenza più o meno grave, nella Rsa?
“Dipende dall’età. Tra gli ottantenni è di 1 su 4; oltre i novanta quasi la metà. La variabile negativa è l’età: più è avanzata, più i casi aumentano. Più si allunga la vita, più aumentano le demenze”.

Qual è la metodologia adottata?
“La gestione comincia dall’ingresso in struttura e si sviluppa in una prima fase entro il primo mese di degenza. La soluzione va cercata nell’osservazione dell’anziano nel suo nuovo luogo di residenza. Ci sono tecniche specifiche che ci permettono di individuare le necessità e applicare rimedi. Rimedi che non è detto siano permanenti perché la malattia si evolve e anche le soluzioni vanno adeguate. Comunque nel primo mese riusciamo a tracciare un’ipotesi di lavoro, individuare gli obiettivi e valutare i risultati, consapevoli, sempre, che si tratta di tentativi. Non bisogna mai mollare perché, ripeto, le patologie sono mutevoli, si evolvono e cambiano le necessità: allora bisogna aggiustare il tiro o ricominciare da capo”.

È vero che alcune patologie non sono individuali ma familiari?
“Certo perché la gestione di un anziano con patologie neurodegenerative ha risvolti fortemente emotivi che creano complicanze nella sua gestione. La malattia erode la capacità cognitiva dei membri della famiglia e provoca un senso di “perdita anticipata”, anzi un senso di “lutto anticipato”. Alcuni familiari ci chiedono qual è il modo migliore per approcciare un parente malato, noi gli insegniamo ad entrare in un circolo virtuoso che permetta loro di interagire con i propri cari nel migliore dei modi”.

Avendo a disposizione alcune informazioni, è possibile che questo tipo di assistenza avvenga all’interno della famiglia?
“Difficile ipotizzare una soluzione di questo tipo. Rimane una scelta individuale. L’assistenza in famiglia è complessa, quasi impossibile. C’è anzi il rischio che si ammali anche chi presta le cure. Si crea un circolo vizioso in cui può accadere che il familiare che non riesce ad aiutare il proprio caro, cada in depressione, se non peggio, creando maggiori disagi. I figli, i mariti, le mogli, devono tornare ad essere figli, mariti e mogli. Non devono privarsi di aree personali che permettano loro di vivere senza obblighi di assistenza quotidiani. Qui arrivano familiari sfiniti. Forse è il caso di rivolgersi a centri specializzati come il nostro prima di ammalarsi”.

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