Le mani della ‘ndrangheta su Buccinasco e sui comuni del Sud ovest milanese. Non è una leggenda metropolitana: è accaduto e potrebbe riaccadere e forse, sottotraccia e con modalità diverse, sta accadendo. Quel che è accaduto è sintomatico della capacità di penetrazione negli enti locali degli esponenti dei clan che da anni fanno il bello e il cattivo tempo all’interno e all’esterno di questo territorio. Tra funzionari comunali terrorizzati (alcuni forse compiacenti), sindaci che vanno a pranzo con i delfini dei boss, ipotesi di mostre di poesia e di fotografia dedicate ai capibastone condannati all’ergastolo. Ce n’è per tutti i gusti. E questa inchiesta, attraverso le carte processuali e le testimonianze di chi questi fatti ha vissuto, tenta di ricostruire ciò che è successo in questi ultimi anni.
Un cognome che pesa
“Non posso pagare per il cognome che porto” è il mantra recitato da Salvatore Barbaro, sin dal 2002, a funzionari e amministratori locali, quando bussa alle porte del comune di Buccinasco in cerca di lavoro. Il bello è che quelle porte si aprono e alcuni incarichi gli vengono affidati. È vero! A quell’epoca non era ancora un pregiudicato. Peccato che poi aggiungesse, quando incontrava difficoltà a farsi ascoltare: “sono il genero di Rocco Papalia”. A quel punto molte porte si aprivano. Un biglietto da visita che funzionava soprattutto nelle trattative per acquisire sub appalti. Si era da poco concluso il maxi processo Nord Sud che si era occupato di 9 sequestri di persona, compreso quelli di Augusto Rancilio e Cesare Casella e di 17 tra omicidi e tentati omicidi. Sul banco dei 133 imputati i nomi del gotha della ‘ndrangheta calabrese e della mafia siciliana: dai Papalia (Antonio, Domenico, Giuseppe e Rocco) ai Sergi, dai Barbaro (Domenico e i tre Giuseppe) ai Grillo, dai Carollo ai Mammoliti.
Non si muove zolla che…
Le condanne sono esemplari. Oltre al sequestro dei beni mobili e immobili a carico degli imputati, tre Papalia sono condannati all’ergastolo, uno a 17 anni, mentre i Barbaro se la cavano, si fa per dire, con condanne che vanno dai 18 ai 30 anni di carcere. Entrano così in scena i loro eredi: Salvatore, figlio di Domenico, e tutti i “padroncini” calabresi titolari di attività che ruotano attorno al movimento terra. Così se negli anni ‘90 del secolo scorso, quella del movimento terra era un ambito in cui erano i Papalia ad avere un ruolo di primo piano (non si muove zolla che Papalia non voglia, si ironizzava ma non tanto), agli inizi del 2000 è Salvatore Barbaro a diventare la punta dell’iceberg che per poco non ha fatto naufragare il Comune di Buccinasco, imprenditori e politici locali. Un Titanic evitato grazie alle indagini della magistratura che avvia una nuova indagine: Cerberus, dal cane a tre teste della mitologia greca, custode dell’entrata nell’Ade, il regno dei morti.
Il balletto delle accuse e controaccuse
Due sono le principali operazioni che vedono coinvolti gli uomini del clan a Buccinasco: la realizzazione del parco Spina Verde e i lavori di riempimento del cantiere di Buccinasco Più. Queste due vicende, con il tempo, sono diventate materia di scontro politico. Il centrosinistra accusa il centrodestra di essere il responsabile delle infiltrazioni mafiose di quel periodo, da centrodestra si ribatte: “eravate voi che amministravate la città durante la realizzazione del quartiere Buccinasco Più e del Parco Spina Azzurra”. La verità questa volta non si trova nel mezzo (o forse sì?) ma, più prosaicamente, nelle carte processuali. A raccontarla è la sentenza del processo Cerberus.
Chi ha fatto cosa…
Sono le date quelle che indicano chi o cosa è stato fatto. Indicano chi c’era e chi non c’era. Chi ha chiuso gli occhi e chi si è girato dall’altra parte. Si comincia con la giunta di centrodestra guidata da Guido Lanati, espressione di Forza Italia, che nel 2000 approva un piano di insediamenti residenziali e commerciali su alcuni terreni appartenuti alla famiglia Cantoni. L’area è di circa 135mila metri quadrati e si trova al confine con Assago. Il documento si chiama “Programma integrato di intervento “via Guido Rossa – via Roma”. Inizialmente prevede la realizzazione di circa 120mila metri cubi di edilizia residenziale più una serie di insediamenti commerciali. Un mega quartiere che sorge ex novo con 600 appartamenti e un centro commerciale. Nel luglio del 2001 la giunta Lanati cade: quattro consiglieri di Comunione e Liberazione gli fanno la guerra per una questione di cubature da spostare dal centro città in periferia.
L’operazione Guido Rossa-Buccinasco Più
Arriva il Commissario prefettizio che amministra il paese per un anno. Il 4 gennaio 2002, con il commissario ancora in carica viene approvato il piano dell’intervento. In quel momento si tratta di ordinaria amministrazione. Poi si va alle elezioni. Il 26 e 27 maggio del 2002 si vota. Le urne indicano come nuovo sindaco Maurizio Carbonera, che porta alla guida di Buccinasco una coalizione di centrosinistra. Il 18 giugno 2003, viene approvato un nuovo piano di intervento che sostituisce integralmente il precedente, quello del 4 gennaio 2002. Un anno dopo e siamo all’11 maggio del 2004, il Consiglio comunale approva definitivamente l’operazione Guido Rossa-Buccinasco Più.
L’abbinata Carbonera – Lanati
Il 6 luglio del 2004, infine, viene stipulata una convenzione con la Finman spa il cui presidente del consiglio di amministrazione era Mario Pecchia, che “si impegna a presentare un progetto unitario e coordinato per l’attuazione del programma di riqualificazione edilizia”. Nasce così un consorzio formato da una decina di imprese denominato “Operatori Buccinasco Più”, rappresentato da Renato Pintus, ex funzionario provinciale legato al vecchio Pci/Pds. L’anomalia o la curiosità (fate voi) di questa fase è che Guido Lanati, dopo essere stato eletto sindaco dal centrodestra, con Carbonera (centrosinistra) diventa assessore ai Lavori pubblici.
Tutti insieme appassionatamente…
Secondo la convenzione, sulla parte settentrionale di quell’area doveva sorgere un complesso di edilizia residenziale comprensiva di piazza, parcheggi ad uso pubblico, viabilità. La parte meridionale, circa 60mila metri quadrati doveva essere ceduta al comune come area verde attrezzata. Si tratta di un affare da 100 milioni di euro, centesimo in più, centesimo in meno. Finman coinvolge nell’operazione diversi imprenditori locali (Giacomel su tutti, poi tra gli altri, la Simon srl poi trasformata in spa) e alcune cooperative bianche e rosse. Tutti insieme appassionatamente in quel gran contenitore che diventa il raggruppamento “Operatori Buccinasco Più”.
Il regalo ai costruttori
Tutto a posto? No, perché cominciano le modifiche al piano approvato. La prima, sostanziale, riguarda la cubatura residenziale da realizzare che passa da 120mila a 180mila. Un regalo ai costruttori giustificato da Carbonera e dai suoi alleati dall’aver ottenuto una percentuale più alta di edilizia convenzionata, gestita da coop legate sia al Pd, sia a Cl. Comprensibile l’atteggiamento dei costruttori, che premevano affinché si riducessero le quote del commerciale a rischio di rimanere invenduto (a Buccinasco, dicevano, non ce n’è bisogno: opinione condivisa da più parti e diametralmente opposta alle esigenze attuali) a vantaggio di quelle residenziali.
I tre metri che hanno sconvolto Buccinasco
Finalmente il cantiere prende il via. Ma c’è subito il primo intoppo ed è un intoppo che segnerà per sempre tutta la vicenda. Buccinasco galleggia su un mare di acqua. Per salvaguardare la falda e soprattutto i box interrati previsti dai progetti, gli stessi costruttori chiedono di sollevare il piano terreno di circa 3 metri. Una richiesta ragionevole dal punto di vista tecnico, peccato che scatenerà una tempesta che segnerà per sempre la vita di alcuni amministratori, di alcuni imprenditori, di tutti coloro che con fiducia avevano acquistato una casa in cui poter vivere.
Odore di ‘ndragheta
I lavori di riempimento vengono affidati alla “Lavori Stradali” di Maurizio Luraghi, imprenditore in odore di ‘ndragheta (lui ha sempre affermato di esserne una vittima) ritenuto il paravento dei clan calabresi che imperversano a Buccinasco e in tutto il Sud ovest Milanese. La questione avrebbe dovuto sin da subito sollevare molti dubbi tra chi il territorio e i personaggi che lo animano lo conosce molto bene. Invece… L’amministrazione Carbonera “prende atto” delle richieste della Finman e del consorzio di imprese e dà l’ok al sollevamento del piano terreno. Le perplessità non sorgono nemmeno quando si scopre che il costo dei lavori, imprevisto al momento della firma della convenzione, viene coperto con la riduzione degli oneri che il comune avrebbe dovuto incassare. Trattandosi di un intervento di imprenditori privati su un’area privata, per quale motivo è stato permesso? È uno dei misteri gloriosi di questa vicenda. Ma non è l’unico.
L’apertura della discarica
Si apre il cantiere, i lavori di sbancamento e sollevamento del terreno prendono il via. Nessuno, tra chi dovrebbe esercitare un minimo di controllo, nota il via vai di camion che vanno e che vengono. Nessuno, soprattutto, verifica cosa contengono. Così, invece di riempire l’area con terreno di riporto o con materiali inerti macinati e privi di inquinanti, l’area viene sommersa da rifiuti solidi provenienti da altri cantieri, da altre demolizioni e che dovevano essere smaltiti in siti attrezzati, che contengono, come riportato in alcune sentenze emesse negli anni su questa vicenda, “idrocarburi pesanti in misura superiore ai limiti consentiti per l’uso residenziale”.
Seconda generazione
La figura che emerge in questa fase è appunto, quella di Salvatore Barbaro, seconda generazione della dinastia Barbaro-Papalia, che con i suoi camion e i suoi mezzi destinati al movimento terra è sempre presente all’interno del cantiere. Ufficialmente non ha alcun ruolo. In realtà svolge il lavoro che doveva essere eseguito dagli uomini della Luraghi. Secondo la testimonianza di un investigatore, un maresciallo dei carabinieri, “l’area è stata suddivisa in 9 lotti. In tre operano i mezzi della Lavori Stradali di Luraghi, titolare del contratto, in tre le ditte Mo.Bar e FRM scavi riconducibili a Domenico e Rosario Barbaro e in tre la Edilcompany di Salvatore Barbaro”. Una specie di sub appalto non è chiaro quanto voluto, i cui compensi vengono liquidati in contanti perché “i circolari possono essere ricostruiti” secondo la filosofia “imprenditoriale” di Salvatore Barbaro. Sono state ritrovate fattura per circa 1 milione e 900mila euro intestate a Edilcompany, Mo.Bar e Fmr Scavi e costruzioni.
Entra in scena Loris Cereda
Tutto, però, tace. Tutto avviene sottotraccia. Nessuno si accorge di quel che sta accadendo. Il rialzo del terreno è concluso, tutti sono contenti. Si arriva al 2007. Gli edifici sono completati, molte famiglie si insediano. Ci sono anche nuove elezioni amministrative che incoronano Loris Cereda del Centrodestra nuovo primo cittadino. Arriva un primo intoppo: l’abitabilità delle case viene ritardata a causa di lavori non ancora eseguiti dai costruttori e dalla Finman. I ritardi hanno molte cause, alcune riconducibili alla stessa Finman. Sale la tensione. Soprattutto a livello politico. Molti dei neo proprietari, soprattutto quelli che hanno acquistato casa dalle coop sono iscritti al Pd, alcuni accusano il neosindaco di “ritorsione politica”. Dopo un’assemblea “infuocata” Cereda concede l’abitabilità, anche se non c’erano i presupposti. La preoccupazione era che senza abitabilità, le banche non avrebbero concesso i mutui.
(continua su pocketnews.it di Venerdì 10 Febbraio)