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In direzione del cuore: il viaggio di una vita alla ricerca della propria libertà

 Questo è il racconto di un viaggio infinito. Un viaggio tra Africa ed Europa, di una donna di origine somala, Adar Abdi Farah Pedersen. Prende il via nella Somalia postcoloniale, posta sotto il controllo dell’Amministrazione Fiduciaria Italiana, e non si è ancora concluso. Rivela l’intreccio di vicende politiche, alcune anche drammatiche, storie di vita e aspirazioni personali a un futuro diverso da quello offerto nel Paese natìo della protagonista. Un Paese dilaniato da profonde contraddizioni, tra spinte verso un modernismo senza freni e cultura patriarcale dominante nel sistema dei clan

A prima vista le aspirazioni di Adar potrebbero apparire singolari, se non incoerenti. Da un lato la ricerca di una libertà di scelta, personale, che si accompagna al desiderio di affrancarsi dal colonialismo e da tutte le sue brutture. Dall’altro, la curiosità verso modelli sociali diversi dai propri, e la condivisione di usi e costumi importati dall’Europa. Nel racconto, difatti, trovano considerevole peso molti episodi che mettono in evidenza le relazioni, a volte pericolose, con gli italiani (prima “occupanti”, poi “cooperanti”), con i militari (golpisti in nome del socialismo), con una politica e un’economia non ancora autonoma.

Mettere in discussione

Nell’arco della sua vita Adar s’immerge in eventi estremamente dolorosi, in altri più felici, e più in generale in esperienze completamente diverse l’una dall’altra, con la capacità personale di mettere in discussione sia la cultura di provenienza sia quella che in quel momento del suo viaggio si trova ad attraversare.  Si possono isolare nel suo racconto tre macroaree: la vita in Somalia fino ai primi anni Settanta, vissuta tra la città di origine, Beledweyne, e Mogadiscio; il periodo di Torino, tra i primi anni Settanta e metà degli anni Ottanta (sono gli Anni di piombo, che vive da un osservatorio privilegiato); infine l’approdo in Danimarca, dove risiede tuttora con il marito Henrik.

I signori della guerra

Il luogo dove trascorre la sua infanzia è una città di frontiera, al confine con l’Etiopia. Negli anni Settanta era la roccaforte del Fronte di Liberazione Somalo, che puntava ad annettere l’Ogaden etiope alla Grande Somalia. Una città ribelle che ha dato i natali ad Aden Abdulla Osman Daar, primo presidente della Somalia indipendente, e a Mohammed Farah Aidid e al figlio Hussein, due dei più feroci signori della guerra, che hanno insanguinato il Paese sin in tempi recenti. Mohammed Farah Aidid, coinvolto nell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, e il figlio Hussein facevano parte dello stesso clan di Adar.

La tortura dell’infibulazione

Gli anni in Somalia la segnano per sempre, prima come bambina, poi come donna. Non le viene risparmiato nulla. Dalla mutilazione dei genitali mediante il rito dell’infibulazione (la Somalia, secondo l’antropologo de Villeneuve, è il “paese delle donne cucite”), all’obbligo di sposare un uomo non amato. È il periodo della sua infanzia che, tuttavia, le fornisce strumenti importanti per sopravvivere in un mondo fatto di eterni cambiamenti e continue difficoltà. Durante l’adolescenza si scontra con le contraddizioni e le ambiguità della storia coloniale italiana, con leggi e pratiche amministrative postcoloniali al limite dell’insensato, con una propensione del potere somalo a reiterare violenze e soprusi in tempo di pace.

Gli amici italiani

Trasferitasi a Mogadiscio, Adar fa la conoscenza di alcuni giovani italiani dai quali apprenderà lingua e abitudini. Spinta dalla sua curiosità si avvicinerà a una  cultura nuova e alle sue ideologie, in particolare quelle comuniste e socialiste.

Finalmente Torino

La vita torinese di Adar, come quella di tanti altri studenti somali in Italia negli anni Settanta, è caratterizzata soprattutto dalla militanza politica nel Partito Comunista Italiano e dalle lotte come donna e femminista. La stessa meta viene scelta dalla protagonista per due motivi strettamente connessi: da un lato per via delle reti personali costruite negli anni a Mogadiscio con gli altri comunisti italiani, che le consigliavano l’esperienza nel Bel Paese, dall’altro per il valore che, secondo lei, la militanza stessa avrebbe acquisito, soprattutto in riferimento alle lotte per i lavoratori, se condotta nel paese della Fiat e dei suoi operai.

Gli anni di piombo

Nondimeno, la fede politica diventa presto l’alibi che, per alcuni, giustifica la violenza degli anni di piombo. Adar li vive in prima persona proprio per via delle sue relazioni personali, d’amicizia e d’amore. Torino ha un importante ruolo nella sua crescita, senza alcun dubbio. Ma con l’estendersi della violenza divenuta quasi unico mezzo di lotta, la delusione nella politica dei partiti e in quella dei gruppi extraparlamentari, e con l’avanzare degli anni, cresce anche l’esigenza di una realizzazione personale. Il ripiegamento nel privato, alla fine degli anni Ottanta, provoca il suo distacco da una realtà sociale che ormai, per lei, ha perso il suo fascino.

L’approdo danese

Elaborata e raggiunta la capacità di lottare su un piano collettivo, rifiutando e reagendo contro ogni forma di violenza, Adar riprende il proprio viaggio alla ricerca di una piena realizzazione personale e sentimentale. Così il suo cammino la porta sempre più verso il Nord Europa, dove finalmente trova se stessa.

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