Non c’è uno senza due e, forse, anche tre. Continua la nuova vita di Loris Cereda, ex sindaco di Buccinasco coinvolto una decina di anni fa in episodi di corruzione che lo hanno visto trascorrere alcuni mesi in carcere. È una nuova vita fatta di scrittura, di storie, di libri. Cereda aveva già debuttato col suo primo romanzo nel 2020, “L’educatore”, premiato dal Rotary Club di Bormio.
Da poco ha pubblicato la sua seconda opera: “64” che narra la storia di Roberto Guardi, ipotetico supérstite di una tragedia, che poi diventa campione mondiale di scacchi. Una vicenda che si snoda sullo sfondo della Milano del secondo dopoguerra, in un continuo scambio fra dialogo interiore del personaggio e realtà storica in cui è inserito.
A cosa rimanda il titolo “64”?
«Premetto che sono uno scacchista. “64” in realtà rimanda a due cose: il numero dei quadrati sulla pedana del gioco e all’età che aveva Bobby Fischer, famoso scacchista statunitense, quando morì».
Perché questo ulteriore omaggio proprio Bobby Fischer?
«Se c’è qualcuno a cui il mio protagonista è ispirato, è lui. Bobby era un uomo al limite della schizofrenia, un personaggio sociopatico la cui vita, senza volerlo, ebbe anche riflessi nelle vicende politiche. Ma anche un talento naturale. Nel 1972 partecipò al campionato di scacchi e arrivò in finale, contro l’ex campione del mondo sovietico Boris Spassky. Inutile dire che il match fu un modo per declinare sulla scacchiera la Guerra fredda. Sebbene le premesse non fossero le migliori, in quanto la scuola sovietica di scacchi era storicamente molto forte, mentre negli Stati Uniti era ancora una pratica di nicchia e Bobby sembrava non volesse partecipare (fu Kissinger a chiamarlo per convincerlo), alla fine Fischer vinse il campionato».
Hai traslato questo tentativo “politico” anche nel tuo romanzo?
«In parte sì. Ho declinato il tutto sullo sfondo milanese, quindi la contrapposizione con il mondo sovietico è rivisto in chiave italiana, in quegli anni, divisa in due. Da un lato la Dc con i suoi ideali di superiorità rispetto alla Russia, dall’altro il Pc che cerca invece il dialogo e il confronto, mostrando come entrambi i giocatori abbiano questa passione – anche i proletari italiani giocano a scacchi come quelli russi».
Come mai questa scelta?
«A me piacciono i piccoli eroi perdenti: entrambi i personaggi dei miei due libri sono isolati, non seguono il flusso della corrente e quindi, sono destinati a perdere».
Cosa intendi per “flusso della corrente”?
«Intendo ad esempio personaggi come Fedez e Saviano, che qualunque cosa dicano, piacciono. Come degli “eroi” positivi. Mainstream. Chi fa qualcosa di importante ma non è nel flusso, viene dimenticato».
A cosa è ispirato il romanzo?
«L’idea originale era di scrivere un libro che riguardasse la vicenda dei martiri di Gorla a Milano, strage in cui vennero uccisi circa 200 bambini, un momento buio della seconda guerra mondiale di cui però nessuno parla. È stata dimenticata col tempo perché è avvenuta ad opera “dei buoni”, degli “eroi mainstream”. Accadde che nell’ottobre del 1944, i bombardieri alleati vennero incaricati dalla Royal Air Force – che aveva il compito di distruggere le industrie siderurgiche della periferia di Milano, territorio facente ancora parte della Repubblica di Salò – di sganciare dei missili sugli stabilimenti della Breda, zona San Giovanni».
Come andò la missione?
«I bombardieri decollarono da Foggia ma per una virata errata si ritrovarono in volo sopra Gorla: si resero conto dell’equivoco ma ricevettero comunque l’ordine di sganciare, per non rischiare di tornare al sud con le bombe innescate. Avrebbero avuto il tempo, volendo, di spostarsi verso zone non abitate. Invece sganciarono. Una delle bombe colpì una scuola elementare. Così avvenne la strage di bambini. Non ne uscì vivo nessuno».
E poi?
«Volevo iniziare la mia storia da qui. Al contrario di quel che è accaduto nella realtà, immaginavo come protagonista un bimbo superstite, che rimarrà sempre sconvolto dall’accaduto, shockato, emarginato, vive il cambiamento dell’Italia. Insomma volevo raccontare della Milano del secondo dopoguerra dagli occhi di un disadattato. La mia editor, Benedetta Centovalli, era però da un pezzo che mi chiedeva di scrivere un romanzo sugli scacchi. Ho quindi combinato le due cose, creando un io narrante più complesso e reale».