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Una società del gruppo Dior finisce in “amministrazione giudiziaria” per sfruttamento di lavoro nero e clandestino

Dopo Armani, anche la casa di moda francese nel mirino degli inquirenti che l’accusano di caporalato e “mancata verifica delle reali condizioni lavorative”

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Anche la casa di moda francese nel mirino degli inquirenti che l’accusano di caporalato e “mancata verifica delle reali condizioni lavorative” nella produzione dei propri accessori

Ci risiamo. Il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria nei confronti di un’altra azienda del lusso che avrebbe crerato un gioco di scatole cinesi per “massimizzare i guadagni” Si tratta della Manufactures Dior. Secondo i giudici titolari dell’inchiesta, l’azienda sarebbe“ incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo”. Caporalato, insomma e sfruttamento del lavoro. L’indagine, coordinata dal pm Paolo Storari e condotta dai carabinieri di Milano. è simile ad altre già istruite nelle quali si contesta la mancata applicazione di “misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative, ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici”.

Il caso Armani

Solo lo scorso aprile la stessa Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano aveva disposto l’amministrazione giudiziaria per la Giorgio Armani operations spa, società che si occupa della produzione di abbigliamento e accessori del gruppo Armani. Anche il quel caso, il provvedimento era arrivato a conclusione di un’inchiesta dei pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone e dei carabinieri su un presunto sfruttamento del lavoro, attraverso l’utilizzo negli appalti per la produzione di opifici abusivi e il ricorso a manodopera cinese in nero e clandestina.

Scatole cinesi

Come per Armani, anche alla Manufactures Dior, i sub appalti sarebbero stati assegnati ad aziende create ad hoc per la produzione e vendita delle collezioni di moda e accessori, mediante un contratto di fornitura, l’intera produzione di parte della collezione di borse e accessori 2024 a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi. Il modello è sempre lo stesso. Chi riceve la commessa, secondo I giudici, “dispone solo nominalmente di adeguata capacità produttiva e può competere sul mercato solo esternalizzando a sua volta ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere i costi ricorrendo all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento. Un gioco di scatole cinesi, per l’appunto.

Manovalanza “in nero” e clandestina

“Tale sistema – si legge nel provvedimento – consente di realizzare una massimizzazione dei profitti inducendo l’opificio cinese che produce effettivamente i manufatti ad abbattere i costi da lavoro (contributivi, assicurativi e imposte dirette) facendo ricorso a manovalanza “in nero” e clandestina, non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nonché non rispettando i Contratti Collettivi Nazionali Lavoro di settore riguardo retribuzioni della manodopera, orari di lavoro, pause e ferie. In sostanza, i “cinesi” producevano le borse con costi irrisori, una società intermediaria le cedeva alla casa madre a prezzo maggiorato. Quest’ultima le immetteva nei propri store a centinaia di euro cadauna. Un circuito che si basava sullo sfruttamento del lavoro nero e clandestino.

La società “cartiera”

Nel caso di Manufactures Dior i carabinieri a partire da marzo 2024, hanno effettuato accertamenti sulle modalità di produzione, confezionamento e commercializzazione dei capi di alta moda procedendo al controllo dei soggetti affidatari delle forniture nonché dei sub affidatari non autorizzati costituiti esclusivamente da opifici gestiti da cittadini cinesi nelle province di Milano e Monza e Brianza. Nella circostanza, è stata individuata anche una società “cartiera” regolarmente autorizzata dal brand alla sub-fornitura che non provvedeva in concreto alla realizzazione dei manufatti ma rappresentava un mero serbatoio di lavoratori, i quali una volta assunti venivano impiegati mediante distacco direttamente presso la società appaltatrice lasciando di fatto gli oneri fiscali, contributivi e retributivi a carico della distaccante, così abbattendo i costi da lavoro. Pertanto è stata individuata anche una fatturazione per operazioni inesistenti a carico della ditta sub-appaltatrice.

Quattro opifici tutti risultati irregolari

In particolare, sono stati controllati quattro opifici tutti risultati irregolari nei quali sono stati identificati 32 lavoratori di cui 7 tra occupati in nero di cui 2 clandestini sul territorio nazionale. Negli stabilimenti di produzione effettiva e non autorizzata è stato riscontrato che la lavorazione avveniva in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri ecc.), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione ecc.) nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico.

Cinque titolari cinque

Sono stati deferiti in stato di libertà a vario titolo per caporalato e altro cinque titolari di aziende di diritto o di fatto di origine cinese nonché 2 persone non in regola con la permanenza e il soggiorno sul territorio nazionale. Infine sono state comminate ammende pari a 138.000 euro e sanzioni amministrative pari a 68.500 euro e per 4 aziende è stata disposta la sospensione dell’attività per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero.

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