giovedì - 28 Marzo 2024
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Traffico di droga: il filo rosso che collega Cesano Boscone con la Basilicata

Nei guai 37 ‘narcos’: 8 sono finiti in carcere, 15 ai domiciliari e per altri 14 è scattato l’obbligo di dimora

La Direzione distrettuale antimafia ha smantellato nei giorni scorsi una fitta rete di trafficanti e pusher ramificata in più regioni d’Italia e ha scoperto un filo rosso che collega Cesano Boscone con la Basilicata. Sono 37 in tutto gli indagati sottoposti a misure cautelari su richiesta della Dia; di questi, 8 sono finiti in carcere, 15 ai domiciliari e per altri 14 è scattato l’obbligo di dimora. Alcuni sono di Cesano Boscone.

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Per tutti, l’accusa è di far parte di un’associazione finalizzata al traffico di droga. Il blitz, oltre al comune di Cesano, ha interessato in particolare anche Stigliano, Aliano, Accettura, Ferrandina, Tursi, Scanzano Jonico, Matera, Craco Montalbano Jonico, Gorgoglione, Potenza, Corleto Perticara, Sant’Arcangelo, Missanello, Milano, Cesano Boscone, Castelfranco Veneto, San Giorgio Bigarello e Campegine.

L’indagine ha permesso di ricostruire l’organigramma del gruppo, il cui capo è considerato dagli inquirenti in stretto collegamento con un clan attivo nel materano, in Basilicata. La Dda parla di ‘forza militare’ del gruppo che, in più occasioni, si sarebbe imposto ad altre realtà criminali con l’uso della forza: pusher senza scrupoli, in grado di fare le scarpe ai narcotrafficanti più esperti, anche usando le armi. 

Nel corso delle indagini sono stati effettuati numerosi sequestri di cocaina, eroina, hashish, nonché di droghe sintetiche del tipo metacetilmorfina.  I principali reati contestati dalla Dda sono associazione finalizzata al narcotraffco, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, minaccia, estorsione, detenzione e porto illegale di armi, sequestro di persona a scopo di estorsione, tortura, furto aggravato e riciclaggio.

Le indagini sono tuttora in corso e sono suscettibili di ulteriori sviluppi. Il dato che maggiormente emerge dalle indagini è costituito dalla “particolare violenza” con cui veniva svolta l’attività criminale. I membri del clan ricorrevano a pestaggi, minacce e violenze per imporre il proprio dominio criminale sul territorio. Ognuno gestiva una piazza di spaccio e recuperava, “anche
con efferata violenza”, i crediti derivanti dalla cessione della droga.

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