martedì, Ottobre 7, 2025
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Rozzano: lavoro nei campi e agricoltura bio per dare speranza a giovani immigrati

Il comune è stato scelto da una serie di associazioni per un progetto agricolo molto ambizioso: alla Cascina sant’Alberto si sperimenta un’agricoltura sociale che dà lavoro ai giovani

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Lavoro nei campi e agricoltura bio per dare speranza a giovani immigrati

Contro la povertà e l’emarginazione, lavoro nei campi e verdure biologiche: zucchine, insalata, luppolo per produrre una birra artigianale. Solo uno slogan? No!, una bellissima realtà. Un esempio è la Cascina sant’Alberto che sorge lungo la strada Bazzanella, a Rozzano. Dà lavoro a una ventina di giovani di età compresa tra i 20 e i 22 anni.

La notizia è stata rilanciata nei giorni scorsi dalla Diocesi ambrosiana e dalla redazione di Popoli e Missione. Rozzano è tra i comuni di Milano il più colpito da disoccupazione, disagio economico e nuove povertà, aggravate dalla pandemia. Il Covid ha inciso su un tessuto sociale già molto fragile. Basti pensare che in un anno – dal 2019 al 2020 – le richieste d’aiuto e assistenza alimentare in quattro comuni milanesi, tra cui Rozzano e Corsico, sono aumentate del 95%, passando da 671 famiglie bisognose di aiuto a 1.151.

Ma Rozzano è anche il comune scelto da una serie di associazioni in rete con la Caritas ambrosiana, per un progetto agricolo molto ambizioso: alla Cascina sant’Alberto, a pochi chilometri dalle case popolari, si sperimenta un’agricoltura sociale che dà lavoro ai giovani. Qui, su 13.500 metri quadri di terreno già da alcuni anni (ma dopo la pandemia ancora di più) si fa rigenerazione territoriale con le serre, i filari di luppolo, le piantine di melanzane e pomodori; promuovendo la formazione professionale e il consumo critico.

Il progetto nasce dall’unione di Acra, Madre Terra, Fondazione Le Vele e il distretto di Economia solidale del Parco agricolo sud di Milano. Ma vi partecipa anche la diocesi di Milano, grazie a don Massimo Mapelli, sacerdote simbolo dei presidi dell’antimafia nel milanese, che ha sognato una rigenerazione umana e territoriale. Con le mani nella terra e il desiderio di vederla germogliare ci sono una ventina di ragazzi di origine straniera, tra i 20 e i 22 anni, pagati il giusto salario e diventati soci della cooperativa che realizza il progetto.

“In questo momento siamo nella fase di piantumazione dei germogli dopo le gelate! – racconta Luigi Rigamonti, responsabile di Madre Terra Società cooperativa agricola –. L’obiettivo è quello di rigenerare l’area, coltivare prodotti bio e far lavorare ventenni di origine straniera che sono anche soci. Assieme a loro seguiamo ogni momento dell’attività: dalla coltivazione di zucchine alla raccolta del luppolo all’imbottigliamento della birra artigianale. Adesso stiamo piantando insalatine per dare movimento al raccolto”.

“Israel è un ragazzo peruviano che lavora con noi ed è socio della Cooperativa Madre Terra; poi – spiega Rigamonti – ci sono due ragazzi egiziani ed altri ex minori non accompagnati. Tutti vengono affiancati da un coordinatore: questo è un lavoro che a loro piace perché dà soddisfazione ed è l’opposto di quello dei braccianti pagati a cottimo e sfruttati per pochi euro. Noi stipuliamo contratti totalmente regolari che permettono a tutti i soci lavoratori di ricevere un salario degno”.

“Una grande famiglia”. “Io dico sempre che siamo una grande famiglia, ognuno col suo compito – aggiunge –. Il luppolo noi lo raccogliamo e lo portiamo ai maestri artigianali che hanno un birrificio e loro preparano le nostre bottiglie di birra con la nostra etichetta. La passata di pomodoro invece la facciamo noi nel nostro laboratorio”.

La Cooperativa Madre Terra è nata cinque anni fa grazie all’intuizione di don Mapelli di far lavorare i ragazzi, minori non accompagnati, che già accoglieva nella casa-famiglia “Una casa anche per te”. Un esempio perfetto di come si possa chiudere il cerchio di un’economia sana, integrando lavoro dei campi, giusta retribuzione e consumo consapevole.

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