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Omicidio di Corsico, parla il killer di Assane: “Non mi pento di quel che ho fatto”

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Le accuse nei confronti di Butà sono di omicidio volontario aggravato dai futili motivi

Tuti i dettagli del primo drammatico interrogatorio di Fabrizio Butà, reo confesso dell’omicidio di Corsico ai carabinieri: “Mi ha fischiato, come se fossi un cane, e mi ha chiesto 5 euro”

Si conoscevano, Assane e Fabrizio. Si frequentavano al bar, parlavano di politica, economia e cultura. Poi, però, i rapporti si sono incrinati. “Aveva assunto un atteggiamento un po’ asfissiante”, ha dichiarato il reo confesso che, ieri sera, dopo essersi presentato nella caserma dei carabinieri di Corsico ha detto, gelido: “Non mi pento di quello che ho fatto perché Assane mi ha sfidato”. Non è stata un’esecuzione per droga, per razzismo, per gelosia. Fabrizio Butà, 47 anni, 15 dei quali trascorsi già in carcere per un omicidio avvenuto nel 1998, ha ucciso di nuovo per quelli che chiamano ‘futili motivi’. “Mi ha fischiato, come se fossi un cane, e mi ha chiesto 5 euro”. Ecco i dettagli del suo primo interrogatorio reso ai militari.

La lite al telefono

Secondo il racconto dell’omicida, ultimamente il senegalese avrebbe chiesto piccole somme di denaro, a lui e soprattutto alla sua compagna, Michela Falcetta, 36 anni. Con un’insistenza fuori dall’usuale che ha fatto traboccare la bile piena di rabbia di Butà. I due avevano litigato furiosamente, al telefono e si erano dati appuntametno vicino al Bar Erika, all’angolo tra via Curiel e via delle Querce al quartiere Lavagna di Corsico. “Gli ho detto chiaramente di procurarsi una pistola perché io ce l’avevo”.

“Chiedile scusa e la finiamo qua”

Nel luogo dell’appuntamento, presente la Falcetta, Butà avrebbe detto a Diallo: “Chiedile scusa e la finiamo qua”. “Ma lui invece ha fatto qualche passo verso di me – ha ricostruito l’uomo, ora rinchiuso a San Vittore -. Ero convinto che fosse armato anche lui, ho estratto la pistola e l’ho colpito con cinque, sei o sette colpi, dapprima al petto poi alla testa da distanza ravvicinata”. In tutto, sabato sera Butà ha esploso 11 colpi: 3 tra addome e torace e 5 in testa, un’esecuzione vera e propria.

Il fiato dei carabinieri sul collo

Un lavoro non facile per i carabinieri di Corsico, diretti dal comandante Pasquale Puca e dal tenente Armando Laviola, ricostruire la dinamica, vista la mancanza di video sorveglianza e testimoni. Chiave di volta delle indagini, il ritrovamento della pistola nello scantinato della casa della compagna del killer. A quel punto ha sentito il fiato dei carabinieri sul collo. Butà allora si è presentato alla stazione alle 21.30 di ieri insieme alla moglie da cui era separato, ma con la quale aveva un buon rapporto, nonostante convivesse da tempo con la Falcetta. A spingerlo a confessare è stata la contemporanea perquisizione dei carabinieri nel deposito della compagna dove poi è stata trovata la pistola e 70 grammi di cocaina.

Il boss del Lavagna

Butà era infatti convinto che nessuno avrebbe testimoniato contro di lui, perché visto il suo precedente per omicidio, era un personaggio molto temuto in zona. Con l’ausilio del vigili del fuoco, invece, i militari avevano già individuato nel palazzo in cui  il killer, descritto dagli investigatori come freddo, spietato e istintivo, conviveva con la compagna e i genitori di entrambi. Lì teneva un deposito dove aveva nascosto la pistola, convinto che nessuno avrebbe potuto trovarla. La sua era solo una pia illusione.

La pistola, proiettili e cocaina

Dalle indagini è emerso anche che Butà era dedito allo spaccio, dopo essere uscito da circa 5 anni dal carcere. Le accuse nei suoi confronti questa volta sono di omicidio volontario aggravato dai futili motivi, mentre alla compagna vengono contestati il favoreggiamento e il concorso in detenzione di stupefacenti e armi: nel deposito sono stati trovati 70 grammi cocaina, la pistola aveva nel caricatore ancora quattro colpi, assieme ad altri proiettili di diverso calibro.

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