Home Cronaca Mafia: morto nel carcere di Opera Nino Santapaola, fratello del boss Nitto

Mafia: morto nel carcere di Opera Nino Santapaola, fratello del boss Nitto

Era detenuto in regime di 41bis: aveva 68 anni e da tempo era malato (di schizofrenia irreversibile, secondo alcune diagnosi)

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santapaolaDue giorni fa, a Milano, un processo in cui era imputato era stato rinviato. Ieri è stato trovato morto nella sua cella. È deceduto nel carcere di Opera, dove era detenuto in regime di 41bis, Nino Santapaola, luogotenente e fratello dello storico boss Nitto (estorsioni, omicidi, traffico di stupefacenti): aveva 68 anni e da tempo era malato (di schizofrenia irreversibile, secondo alcune diagnosi).

Il processo di Milano era stato rinviato per l’impossibilità del boss di “prendere parte scientemente al procedimento”. “Tutti i suoi processi – ha commentato il suo legale, l’avvocato Giuseppe Lipera – sono sospesi per il grave stato di salute del mio assistito. Avevo presentato più volte istanze per la sua scarcerazione o di concessione degli arresti domiciliari e, almeno, la revoca della misura del 41 bis, a cui era sottoposto nonostante la grave malattia da cui era oggettivamente affetto. È un caso che deve fare riflettere tutti noi”.

È scomparso, uno dei personaggi più controversi della storia della mafia siciliana, catanese in particolare, degli ultimi venti anni. Imputato in diversi procedimenti perché considerato il reggente di una cosca di Cosa Nostra dedita alle estorsioni, ai traffici internazionali di stupefacenti, si riteneva fosse un sanguinario assassino. Tutti i suoi processi, però, erano in staNd by perché sarebbe stato affetto da “schizofrenia irreversibile” come risulta da una perizia redatta dallo psichiatra Antonino Petralia. Una perizia contestata da più parti.

In realtà, secondo gli inquirenti e molti membri della società civile siciliana, Antonino Santapaola, “Ninu u pazzu”, era un pezzo da novanta nel panorama criminale locale e nazionale. Lo testimonierebbero centinaia di intercettazioni ambentali in cui imparisce ordini e parla di soldi, tanti soldi. Nell’ottobre del 2003, poi, durante un’udienza del processo “Orione”, minacciò di morte e di gravi rappresaglie personali i giudici Alfredo Curasì e Massimiliano Micali, i pm Amedeo Bertone, Giovanni Cariolo e Flavia Panzano, nonché i due agenti di polizia penitenziaria.

Che fosse un boss lo aveva confermato anche Francesco D’Arrigo, nell’ordinanza di custodia cautelare del procedimento ALMA+87, che a carico di Nino Santapaola aveva scritto: “malgrado lo stato di detenzione, prima, e, successivamente, il ricovero in ospedale psichiatrico — riveste un ruolo di primo piano all’interno della organizzazione”.

Nel mandato di arresto, i giudici avevano sottolineato che “una delle emergenze più significative è quella relativa alla capacità organizzativa dimostrata da Nino Santapaola (“u pazzu”)  che, seppure rinchiuso in carcere, riusciva ad essere informato tempestivamente delle vicende del clan ed a impartire, tramite il cognato Salvatore Rapisarda detto Turi Marlboro, le proprie direttive”. Il tutto in barba all’infermità psichica che non gli avrebbe consentito, secondo l’esito di alcune perizie disposte nell’ambito di più procedimenti, di partecipare consapevolmente ai processi.

Con la sua morte si è chiuso un capitolo della mafia catanese. Adesso, temono gli inquirenti, ci sarà la corsa alla sua successione. A decidere sarà il fratello Nitto, il capomafia che ha avuto un’ascesa fulminea e ha radicato il suo potere a Catania con il supporto dell’ala militare e i favori di alcuni imprenditori e colletti bianchi collusi.

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