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Il boss evade dagli arresti domiciliari e dopo il processo ritorna a casa sua

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La decisione è stata presa in attesa che l’Autorità di vigilanza non si esprimerà sulla sua condotta

Il nome è scolpito a grandi lettere del gotha delle ‘ndrine calabresi: Agostino Catanzariti, 72 anni, negli anni Settanta fu coinvolto nella stagione dei sequestri di persona e condannato per il rapimento di Angelo Galli, Alberto Campari, Giuseppe Scalari, Evelina Cattaneo.  Arrestato il 24 maggio 1981, era uscito dal carcere nel 2009.

Poi è stato un andirivieni: dentro, fuori, dentro fuori. Sino a quando i carabinieri lo scorso marzo lo hanno arrestato in esecuzione di un ordine di carcerazione emesso il 2 dello stesso mese dalla Procura generale presso la Corte d’Appello, perché deve espiare la pena residua di 4 anni e 21 giorni di reclusione per associazione di tipo mafioso, estorsione, falsa testimonianza aggravata e spaccio, delitti commessi a Buccinasco e dintorni tra il 2012 e il 2014.

Invece di essere rinchiuso in un carcere di massima sicurezza ha trascorso questi mesi agli arresti domiciliari.  Sino al tardo pomeriggio di ieri quando sorpreso al di fuori della sua abitazione è stato arrestato per “evasione”. Il paradosso è che processato questa mattina per direttissima, l’arresto è stato convalidato, ma l’ex braccio destro di Antonio Papalia è stato rimandato a casa. E lì rimarrà sino a quando l’autorità di vigilanza non si “esprimerà sulla sua condotta”.

Qui non si sta parlando di un mafioso qualunque. Catanzariti è stato considerato il guardiaspalla dei Papalia e loro braccio operativo in Lombardia per oltre 20 anni, anzi molti lo ritengono uno dei fondatori dell’ndrangheta in provincia di Milano. Certamente non gli sono mancati gli “incidenti di percorso”. Come quello capitatogli nell’estate del 2012 quando inconsapevolmente fece riaprire il processo sul sequestro di Alessandra Sgarella.

L’imprenditrice, morta nel 2011, era stata rapita  a Milano, in zona San Siro, l’11 dicembre 1997 e rilasciata il 4 settembre 1998 a Oppido Mamertina, in Calabria. Non sapendo di essere intercettato Catanzariti ne svelò i retroscena più segreti. Durante una lunga intercettazione ambientale si trovava a bordo di un’auto con un altro affiliato dell’ndrina dei Papalia, Michele Grillo (altra vecchia conoscenza delle cronache buccinaschesi).

I due erano stati intercettati per mesi e durante le loro chiacchierate avevano rivelato l’identità del boss della ‘ndrangheta con il quale lo Stato all’epoca aveva intavolato una trattativa per liberare la donna. Si trattava di Giuseppe Barbaro detto Peppe U Nigru, classe 1948, morto proprio nel 2012. Nel ’97, all’epoca del sequestro, Barbaro era in carcere ma era già considerato uno dei boss più carismatici e potenti di tutta la ndrangheta.

Sempre durante quelle intercettazioni Catanzariti rivelò agli inquirenti, e sempre in maniera accidentale, dove trovare le prove per far processare e mandare di nuovo in carcere Rocco Papalia che  a distanza di 36 anni dai fatti, fu condannato per l’omicidio del nomade Giuseppe De Rosa, ucciso nel 1976 davanti alla discoteca «Skylab» di via Massarani a Milano.

Da quel momento in poi, Catanzariti fu soprannominato “il boss dalla bocca troppo larga” e bollato dagli stessi Papalia, “chiacchierone e ubriacone”. Nonostante le chiacchiere però è sempre stato un personaggio di spicco tanto da detenere quella che l’ndrangheta chiama «la dote del Vangelo», cioè un gradino altissimo nella gerarchia della mala calabrese: chi ha il Vangelo custodisce le regole della cosca. Forse per questo è ancora vivo.

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