La sentenza è stata inflitta dal giudice Alessandra Di Fazio dopo un anno da un’ordinanza del gip Alessandra Simion che aveva chiuso un’inchiesta dei carabinieri della direzione disterttuale antimafia, coordinata dal pm Gianluca Prisco e dall’aggiunto Alessandra Dolci: nella rete degli investigatori erano finiti trentasette malviventi. Ventisette erano finiti in carcere, dieci agli arresti domiciliari.
In cella erano finiti anche personaggi legati alla ‘ndrangheta calabrese come Domenico Iamundo, legato ai Mancuso e Gabriele Argirò, soprannominato «Hulk», quest’ultimo a capo di uno dei tre gruppi smantellati con legami con la ‘ndrina Di Giovine-Serraino di Reggio Calabria. Anche loro sono stati condannati: il primo a 6 anni di reclusione, il secondo a 15 anni.
Quella condotta dagli inquirenti sembrava una “normale” storia di trafficanti e spacciatori. A provocare ulteriore indignazione nei confronti di malavitosi che non si fermano di fronte a nulla pur di raggiungere i propri scopi, è il coinvolgimento dell’11enne figlio di due “vassalli” di uno dei boss del narcotraffico.
Le prove arrivano dalle intercettazioni telefoniche e ambientali. E sono choccanti. «Fai velocissimo vai da tuo padre, prendi questo… chiamalo da parte non ti far vedere davanti a nessuno…», diceva la madre al figlio. «Stai tranquilla, so quello che faccio…», la tranquillizzava lui mentre riceveva una dose di cocaina. La droga viaggiava nascosta nello zaino della scuola del bambino.
Dopo il blitz che aveva smantellato l’organizzazione criminale, il bambino era stato affidato a una comunità per minori e tolto ai genitori. Nella loro casa, in via Jacopino da Tradate, a Milano, i carabinieri avevano trovato droga, cinque pistole, una carabina e un giubbotto antiproiettile. E anche un cane: Arhat che poi ha dato il nome all’operazione antidroga.
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