Home Altre notizie Sepolti vivi. Reportage dall’inferno dei lavori forzati in Siberia

Sepolti vivi. Reportage dall’inferno dei lavori forzati in Siberia

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I forzati parlano poco del loro passato, non amano raccontarlo e fanno di tutto per dimenticarlo. Dostoevskij invece lo racconta ed è un racconto magistrale

Una prigione. Un labirinto in cui, senza un sottilissimo filo di Arianna, si corre il rischio di perdersi. Non solo fisicamente, ma anche e soprattutto mentalmente. Dentro, ci sono assassini occasionali e assassini di professione, briganti e capibanda, semplici ladri e vagabondi, maestri del borseggio e dello scasso. Ciascuno ha la sua storia, torbida e pesante come il risveglio dopo l’ubriachezza, quando i fumi del vino non sono ancora svaniti. Generalmente, i forzati parlano poco del loro passato, non amano raccontarlo e fanno di tutto per dimenticarlo. Il loro passato si riflette nel loro presente

Aleksandr Petrovic Goriancikov, il protagonista di Sepolti vivi non dimentica mai dove si trova. Quello che racconta è un reportage accurato che rivela un mondo sconosciuto. È rinchiuso in una fortezza della Siberia. Molti suoi compagni di sventura muoiono, alcuni impazziscono, pochi sopravvivono. Anche molte ombre sopravvivono, e lo accompagnano ogni giorno. Non lo lasciano mai da solo. Sono le sue compagne.

Lo steccato

“La nostra prigione” scrive “era situata all’estremità della fortezza, vicino al bastione. Chi voleva vedere qualche cosa del mondo, guardava attraverso le fessure della palizzata. Non scorgeva, però, che un lembo azzurro di cielo e un terrapieno puntellato qua e là da erbacce, su cui, giorno e notte, facevano la spola le sentinelle”. Gli veniva allora da pensare che sarebbero trascorsi anni e anni durante i quali avrebbe ancora avuto la possibilità di avvicinarsi a quello steccato per guardare attraverso le fessure lo stesso terrapieno, le stesse sentinelle e lo stesso piccolo lembo di cielo. Una vita da trascorrere ai lavori forzati.

Il portone

“Immaginatevi dunque” scrive ancora “un grande cortile, lungo duecento passi e largo centocinquanta, a forma di esagono irregolare, circondato da un’alta palizzata, formata da lunghi pali infissi in profondità nel terreno, appoggiati l’uno all’altro, rinforzati da sbarre trasversali. In uno dei lati di quel recinto c’era un portone massiccio sempre chiuso a chiave e custodito, giorno e notte da sentinelle. Si apriva soltanto per far uscire i condannati quando si recavano al lavoro. Al di là da quel portone c’era il mondo libero. Da dentro lo steccato, quel mondo lo si immaginava come un fantastico mondo da fiaba”.

Leggi speciali

Nel recinto in cui Petrovic Goriancikov è costretto a vivere, c’è invece un mondo tutto particolare: ci sono delle leggi speciali, speciali usanze e speciali abitudini. In quella casa di sepolti vivi si conduce  una vita del tutto diversa da quella che si svolge  altrove. È appunto questo singolare angolo di mondo che descrive. Un inferno. Un inferno in cui, per sopravvivere, è necessario adattarsi, accettarne le regole. Un labirinto in cui, senza un sottilissimo filo di Arianna, si corre il rischio di perdersi.

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