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Parla il parroco della chiesa di Sant’Ambrogio: “Le mie nozze d’argento con la città”

Don Franco Colombini celebra i 25 anni di presenza sul territorio occupandosi delle anime e non solo dei fedeli della città e di chiunque bussi alla sua porta

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Nella foto, don Franco Colombini all’ingresso della chiesa di Sant’Ambrogio, a Trezzano sul Naviglio

È entrato in seminario a 11 anni e, nel 1974, ventiquattrenne è stato nominato sacerdote. Da allora è sempre stato tra la gente, con la gente, al servizio della gente. Per più di due lustri è stato parroco a San Giuliano Milanese, poi cappellano nel carcere di San Vittore. È stato il primo ecclesiastico a mettere piede nel penitenziario di Opera in cui è rimasto per dieci anni (un’esperienza forte, la definisce). Infine, il 14 settembre del 1997 ha messo radici a Trezzano.

Da 25 anni don Franco Colombini si occupa delle anime, e non solo, dei fedeli della città e di chiunque bussi alla sua porta. Le nozze d’argento con la parrocchia di Sant’Ambrogio sono state l’occasione per una chiacchierata su quel che è stata la sua esperienza sulle rive del Naviglio e su quel che sarà nel futuro prossimo.

– Ero presente alla celebrazione della sua prima messa trezzanese. Mi sembrava pieno di entusiasmo, di trasporto, di fervore: dopo un quarto di secolo, ha ancora la stessa passione per il suo lavoro?
“Sono entusiasta oggi come allora. È vero, il tempo è trascorso ma ogni giorno offre situazioni nuove. Ogni giorno bisogna mettersi in gioco credendo in quel che si fa. E io credo in quel che faccio”.

– Come è cambiata Trezzano in questi anni?
“Urbanisticamente molto. Sono cresciuti tanti nuovi quartieri, il Tr 4, il Tr5, è arrivata ed è partita tanta gente. Sotto il profilo sociale e umano è una città più unita. Qui in parrocchia c’è molta coesione e abbiamo chiaro quel che dobbiamo e possiamo fare. Certo è un lavoro difficile perché la città è ad alta mobilità e dobbiamo rinnovarci, ma c’è un ceppo capace di unire e aggregare. Si combatte contro la povertà, si aiutano i migranti ad integrarsi. C’è chi chiede un posto che deve essere assicurato e non sempre è disponibile. Serve coesione e vicinanza”.

– Trezzano è una città intollerante?
“No! Cerca di integrare chiunque lo richieda, di includerlo nella vita cittadina. A volte ci riesce, altre volte meno. Deve fare un passo in più verso l’inclusione, garantire spazi sicuri a chi ne abbia bisogno. Purtroppo ci sono leggi che sembrano fatte per escludere. Ci vogliono norme più umane. Certo, la coperta è corta e ci sono anche italiani che fanno fatica perché il pane da condividere e sempre più poco, ma non bisogna cedere”.

– Cosa aveva trovato quando era arrivato?
“25 anni fa, la situazione in parrocchia non era tranquilla, forse era drammatica. C’erano alcune lacerazioni che hanno corso il rischio di disperdere il patrimonio umano della chiesa: Don Peppino aveva lasciato il suo incarico con qualche polemica di troppo che non aveva certo aiutato. Oggi c’è più voglia di stare insieme, di costruire, di impegnarsi nell’educazione dei giovani che devono affrontare la vita”.

– Quale è stato il momento più triste di questi ultimi 25 anni?
A livello personale la perdita dei miei genitori: erano venuti a stare con me, poi sono rimasto da solo. A livello parrocchiale ci sono stati momenti in cui mi sono impegnato in progetti che non hanno dato la resa sperata, ma ho sempre rilanciato: non sono facile allo scoramento”.

– E il momento più esaltante?
“La visita del Cardinale Martini che ha consacrato la chiesa di Sant’ Ambrogio e quella del Cardinale Scola che ha inaugurato la nuova chiesa dedicata a Santa Gianna Beretta Molla, al quartiere Marchesina. A livello personale ci sono stati alcuni momenti che hanno toccato la mia umanità e hanno lasciato il segno nella mia persona”.

– A proposito della nuova chiesa, da chi è stata finanziata?
“Dalla Curia grazie all’8 per mille poi dalla generosità dei trezzanesi. C’era un debito residuo di circa 150mila euro che è in via di estinzione”.

– Perché dicono che è una chiesa fredda e senz’anima?
“Bisogna comprenderla. Siamo abituati alle chiese antiche che sono certamente più calde. Ha la forma di una croce greca collocata nel cuore della città: distribuisce amore e offre ospitalità. Il complesso ha anche appartamenti che accolgono persone che vivono in strada e che non hanno un posto dove andare. È una testimone di solidarietà ed è alta perché sia visibile a tutti. Dice che qui, sulle rive del Naviglio, ci sono cuore e speranza”.

– A che punto è la gestione dell’oratorio? Ha perso la funzione di polo di aggregazione che aveva un tempo?
“No! è ancora un luogo di aggregazione per adolescenti e anche per studenti universitari. Purtroppo la pandemia di Covid ha fatto perdere tante occasioni d’incontro e ha interrotto il cammino di crescita di moltissimi giovani. Ma adesso stiamo riconquistando il terreno perduto: l’oratorio estivo ha accolto circa 250 ragazzi. Il numero delle persone presenti è tornato ad essere elevato. C’è bisogno di tutti. Sulla realtà giovanile bisogna lavorare tanto: i ragazzi vanno preparati, con l’aiuto dei genitori, a coltivare le loro speranze per una vita appagante sotto ogni aspetto”.

– Qual è il rapporto con la politica locale?
“I rapporti sono buoni. C’è amicizia e rispetto che lega le persone che sono al servizio del bene comune. C’è collaborazione anche nel campo educativo. Ognuno fa quello che può per rendere più vivibile la città”.

– È vero che lei è il papà della giunta Bottero, dell’incontro e alleanza tra Pd e cattolici?
“Quando Trezzano è stata investita dall’ondata di arresti che hanno spazzato via la giunta Tomasino, c’è stato un anno di commissariamento. Durante quel periodo abbiamo fatto degli incontri in preparazione al nuovo voto. Con l’ Ufficio della pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Milano organizzavamo incontri mensili in cui invitavamo i rappresentanti delle forze politiche locali. In quelle occasioni la parte cattolica e quella democratica si sono incontrate ed hanno impostato un progetto con il quale prendersi cura di una comunità ferita dagli arresti e dal marciume che era emerso. Io ho solo dato loro la possibilità di incontrarsi, una possibilità che poi ha portato alla guida della città”.

– Il parcheggio che la giunta vorrebbe costruire in via Treves, dove oggi c’è un parco, serve davvero alla Chiesa?
“Sia chiaro che quella del parcheggio è una decisione degli amministratori. Noi non siamo stati nemmeno interpellati. Quello attuale al fianco della chiesa è insufficiente. Viene intasato ogni giorno e, per esempio, quando alcuni pomeriggi celebriamo dei funerali in concomitanza con l’uscita della scuola, tutta la strada è paralizzata. Nessuno si muove, né in entrata e nemmeno in uscita. Se poi si pensa che nei giorni feriali viene occupato al 100% dalle auto dei dipendenti comunali, il quadro è completo. Serve una soluzione che chi amministra dovrà trovare.

– Qual è il suo programma per i prossimi 25 anni?
“Dio solo lo conosce. Io mi impegnerò a costruire una chiesa che sia sempre più comunità”.

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