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Dostoevskij intimo raccontato da Anna, la moglie-stenografa

Un gioiello. Un libro che va letto sino in fondo, riservato a chi vuole conoscere meglio l’autore di “Delitto e castigo”, de “I fratelli Karamazoff”, di “Umiliati e offesi” e tanti altri capolavori. Tormentato dall’epilessia, oberato di debiti, afflitto dal demone del gioco, con un matrimonio fallito e una miriade di parenti che vivono alle sue spalle, Dostoevskij conosce Anna Grigoriewna.  Lei è una timida e modesta stenografa. Sarà l’ancora di salvezza cui lo scrittore si aggrapperà per non affogare. La loro non è una storia comune. È la storia di una moglie capace, quando serve, di tirare fuori le unghie, e di un marito, sopravvissuto a un plotone di esecuzione e ad anni di lavori forzati. Insieme, lottando giorno dopo giorno contro le avversità della vita, riescono a trovare un loro equilibrio, ad avere dei figli, a formare una famiglia. E giorno dopo giorno, l’uno appoggiato all’altra, fanno nascere storie immortali. Storie che tutti abbiamo letto e che sono parte integrante della nostra anima

Alle sette di sera del 3 ottobre del 1866, ero andata, come al solito, ad assistere alla lezione di stenografia del professor Pavel Matweewic Olkin. Quando vi arrivai, la lezione non era ancora cominciata. Docente e studenti aspettavano i ritardatari. Mi sedetti al mio posto e appena cominciai a sistemare sul tavolo i quaderni, il professore si sedette accanto a me. Comincia così il libro che Anna Grigoriewna ha scritto sulla sua vita vissuta assieme al più grande degli scrittori, più grande della storia della letteratura, s’intende, non solo dei russi.

La Proposta

“Accettereste, Anna Grigoriewna” mi domandò “un lavoro da stenografa? Mi hanno incaricato di cercare uno stenografo e ho pensato a voi. Potreste accettare l’incarico?”
“Certo che desidero lavorare” gli risposi, “ma temo che la mia scarsa conoscenza della stenografia non mi consenta di svolgere un vero e proprio lavoro, almeno per il momento.”
Per convincermi, Olkin mi assicurò che l’incarico offerto non richiedeva una velocità maggiore di quella che possedevo io, che era di poco meno di 200 parole il minuto. Era persuaso che avrei potuto disimpegnarmi con onore. Allora domandai dove e con chi avrei dovuto lavorare.
“Da Dostoevskij, lo scrittore” mi rispose. “È impegnato con un nuovo grande romanzo, e vorrebbe scriverlo con l’aiuto di uno stenografo. Prevede che sarà più o meno lungo sette grandi fogli di giornale e, per tutto il lavoro, è pronto a pagare 50 rubli.” Sentita la cifra, dissi subito di sì.

Il primo incontro

Il professore mi diede un biglietto piegato in quattro, sul quale c’era scritto: «Vicolo Stoliarnj, angolo Malaja Mascianaskaja, palazzo Alonkin, appartamento n. 13. Chiedere di Dostoevskij.»
Poi aggiunse: “Vi prego di andare da Dostoevskij domani, né prima né dopo le undici e mezzo, come lui stesso ha richiesto. Temo soltanto che non andrete d’accordo… lo conosco: è un uomo molto cupo e arcigno.”
Sorrisi lievemente, e risposi: “Perché non dovrei andare d’accordo con lui? Cercherò di fare del mio meglio.” Olkin, dopo aver dato un’occhiata al suo orologio, si affrettò a salire sulla cattedra.
Devo confessare che quel giorno persi completamente la sua lezione. I miei pensieri continuavano a volare attorno a quello che il professore mi aveva detto poco prima, ed ero felicissima. Non stavo più nella pelle. Il mio desiderio di trovare un lavoro vero stava per tramutarsi in realtà: avevo finalmente un’occupazione. Se Olkin, che era severo ed esigente, riteneva che conoscessi abbastanza bene la stenografia e scrivevo piuttosto velocemente, doveva esser vero, altrimenti non mi avrebbe fatto quella proposta. Quella constatazione mi riempì d’orgoglio. Credo che trovare un lavoro indipendente, qualunque sia il settore d’interesse, abbia per tutti un grande significato. Fu così anche per me.

L’emozione infinita

Dal giorno dopo avrei potuto guadagnarmi la vita col mio lavoro, diventare completamente indipendente. E l’idea dell’indipendenza, per me, come per qualsiasi ragazza del ‘60, era un’idea più che suggestiva.
Ma ancora più gratificante era l’opportunità che mi si presentava: lavorare con Dostoevskij, conoscerlo personalmente. Era stato lo scrittore preferito di mio padre, per cui il suo nome mi era familiare fin da bambina.
Ero entusiasta delle sue opere e avevo pianto leggendo i «Ricordi della casa dei morti». A un tratto mi era capitata una fortuna simile! Non solo avrei conosciuto il celebre romanziere, ma lo avrei anche aiutato nel suo lavoro. Ero talmente emozionata, e volevo condividere con qualcuno la mia gioia, che non mi trattenni e raccontai tutto alla mia compagna Alessandra Ivanovna, che era arrivata in ritardo alla lezione…

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