Un marchio tira l’altro. Non come le ciliegie, ma quasi. Dopo Alviero Martini, Armani Operations e Manufactures Dior, sono almeno altri 13 i brand del lusso mondiale e del fast fashion sotto la lente della Procura di Milano per non aver impedito il caporalato lungo le proprie filiere. Come nelle inchieste precedenti, quella che riguarda il gruppo Dior ha confermato il modus operandi generalizzato di una filiera che pagava borse a poco più di 50 euro, e le rivendeva a più di 2.000.
Fornitori e sub rifornitori
I provvedimenti del tribunale di Milano emessi nei confronti delle aziende della moda e del lusso sopra citate riguarda il mancato controllo della propria catena di fornitori. Che a loro volta si sarebbero appoggiati a subfornitori con lavoratori irregolari, paghe molto basse, orari e condizioni di lavoro lontane dalla legalità. Principalmente opifici cinesi che svolgono la loro attività nell’hinterlan di Milano. Si parla di caporalato e condizioni lavorative ai limiti della sopravvivenza.
I testimoni
L’inchiesta condotta dal Nucleo operativo dell’ispettorato lavoro dei carabinieri di Milano e coordinate dai pubblici ministeri Paolo Storari e Luisa Baima Bollone, ha verificato i passaggi e raccolto testimonianze. “L’azienda dove lavoravo – ha messo a verbale un testimone – assemblava cinture dei marchi Zara, Diesel, Hugo Boss, Hugo Boss Orange, Trussardi, Versace, Tommy Hilfiger, Gucci, Gianfranco Ferré, Dolce & Gabbana, Marlboro e Marlboro Classic, Replay, Levis”. Anche il direttore di prodotto di Alviero Martini spa, interrogato, ha confermato che non si tratta di episodi isolati ma di un “sistema” adottato da tutti i brand del lusso.
La difesa dell’opificio
Una delle aziende coinvolte nell’inchiesta sulla Alviero Martini è la Crocolux di Trezzano a gestione cinese, appaltatrice anche di numerosi marchi di fama mondiale. Alla notifica dei provvedimenti, l’azienda trezzanese aveva diffuso una nota nella quale sottolineava: “In questi ultimi giorni, il nome di Crocolux s.r.l. è stato indebitamente associato dagli organi di informazione all’indagine per sfruttamento di lavoratori nell’ambito del confezionamento di borse con il marchio “Alviero Martini”. Nessun tipo di provvedimento ha riguardato l’azienda. Questa non è stata in alcun modo sanzionata per qualsivoglia irregolarità nell’ambito della sicurezza e della salubrità nei locali di produzione”.
Nessun lavoratore in nero
La nota continuava: “L’azienda è in grado di esibire documenti di ispezione delle autorità competenti asseveranti questa dichiarazione. Per essere più espliciti non ci sono alle dipendenze di Crocolux s.r.l. lavoratori in nero. Non esistono “dormitori” in qualsivoglia modo riferibili all’azienda di Trezzano sul Naviglio. Né si è riscontrato alcunché di estraneo alla legge e all’etica nell’ambito delle prestazioni lavorative e dei rapporti tra titolari e maestranze”.
La disgrazia
Nella stessa azienda il 25 maggio 2023 un 26enne del Bangladesh era morto schiacciato da una macchina per tagliare la pelle al suo “primo giorno di lavoro in nero” dopo “20 minuti”. Anche per quella disgrazia alla Crocolux si difendono: “Il luttuoso evento della morte sul lavoro il 25 maggio 2023 del signor Abdul Ruman, padre di famiglia, dipendente a pieno titolo e nel rispetto delle normative vigenti, della Crocolux s.r.l., deceduto nell’ambito della struttura aziendale a Trezzano sul Naviglio (MI), ha segnato indelebilmente la vita di questa comunità lavorativa colpita affettivamente e moralmente da questa tragedia. Dinanzi alla fine sciagurata di una persona inerme e alla evidenza tremenda di questa morte, l’esigenza di verità deve prevalere su ogni altra considerazione, consapevoli che alla verità e alle conseguenti determinazioni di giustizia ha diritto anzitutto la famiglia di Abdul Ruman”. Di certo c’è che le inchieste che la riguardano direttamente o indirettamente non sono ancora chiuse.